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Revisione della condanna

Aggiornamento: 4 nov 2023

La remissione della querela intervenuta in pendenza di giudizio costituisce nuova prova.

Cass., sez. VI, 01 luglio 2020, n. 24435

Impugnazioni straordinarie - revisione - remissione di querela - nuove prove

(art. 630 c.p.p., art. 152 c.p., art. 340 c.p.p.)


La remissione di querela, intervenuta in pendenza di giudizio ed acquisita al fascicolo processuale senza essere valutata ai fini della decisione, costituisce prova nuova ai fini della revisione.


Giurisprudenza di legittimità

Cass., sez. UU, del 26/09/2001, n. 624; Cass., sez. UU, del 27/03/2002, n. 16103; Cass., sez. 05, del 13/11/2007, n. 46822; Cass. Pen., sez. 01, del 15/05/2008, n. 23964; Cass., sez. I, 30 gennaio 1997 - 10 marzo 1997, n. 649


Nota di commento


La dichiarazione di inammissibilità


La Corte di Appello di Ancona aveva ritenuta inammissibile la richiesta di revisione della sentenza di condanna emessa dalla Corte di Appello di Bologna, con la quale l’imputato veniva condannato per il reato previsto e punito dall’art. 393 c.p.

Le motivazioni, sottese alla dichiarazione di inammissibilità della richiesta di revisione, si basavano sul presupposto erroneo che la Corte di Appello di Bologna, nel confermare la sentenza di condanna, aveva già agli atti la disponibilità materiale della remissione di querela e che, pertanto, questa non poteva valutarsi come prova nuova ai sensi dell’art. 630 lett. c) c.p.p.

In effetti, la remissione di querela era stata presentata dalla persona offesa dopo la proposizione dell’appello e regolarmente accettata, ma la Corte di Appello di Bologna non valutò quest’ultima ai fini della decisione.


La revisione: la nozione di “prove nuove”


La revisione è un’impugnazione straordinaria che ha per oggetto una sentenza di condanna divenuta irrevocabile. Competente è esclusivamente la Corte di appello determinata in base alla medesima tabella con cui si individua la competenza per i procedimenti riguardanti i magistrati[1]. Per tale motivo, nel caso di specie, la competenza era della Corte di Appello di Ancona.

La revisione ai sensi dell’art. 630 c.p.p. può essere chiesta qualora i fatti siano incompatibili con quelli accertati da altra sentenza penale irrevocabile; qualora la condanna sia fondata su di una questione pregiudiziale accertata in una sentenza, che è stata successivamente revocata; qualora la condanna sia pronunciata in conseguenza di una falsità in atti o in giudizio e, infine, qualora vi siano nuove prove che determinano il proscioglimento.

A riguardo delle prove nuove la giurisprudenza di legittimità maggioritaria ha chiarito che debbano considerarsi prove “nuove” ai sensi dell’art. 630, lett. c., anche quelle preesistenti, ma non acquisite nel precedente processo, e anche quelle acquisite, ma non valutate dal giudice nella sentenza[2]. Il tutto indipendentemente dalla circostanza che l’omessa valutazione sia imputabile al comportamento processuale negligente o addirittura doloso del condannato. Tale comportamento rileva in sede di riparazione dell’errore giudiziario ma non per quanto attiene all’ammissibilità della revisione[3].

L’attribuzione di una forza espansiva all’espressione “prove nuove” di cui all’art. 630 lett. C) c.p.p., deriva da alcune differenze lessicali esistenti in detto precetto, nel quale l’aspetto valutativo viene maggiormente posto in luce, dalle relazioni all’attuale codice ed al progetto del 1978, da una sistematica lettura di alcune disposizioni del codice di rito (artt. 629, 643, 637 c.p.p.) e dall’interesse pubblico al prevalere della realtà sostanziale sull’accertamento erroneo cristallizzato nel giudicato ed al permanere del principio del perseguimento di un risultato di conoscenza dei fatti rispetto ad un rigido formalismo[4].

Secondo un diverso orientamento, per prove nuove devono intendersi le prove costituite da elementi estranei e diversi da quelli del processo definito con la sentenza irrevocabile, allorché non è ammissibile la richiesta di revisione fondata su elementi già esistenti negli atti processuali che, per mancata deduzione o per omesso uso dei poteri di ufficio da parte del giudice, non furono conosciuti o da questi valutati[5].

In merito alle “prove nuove” autorevole dottrina (Cordero) sosteneva “ Nuove perché non acquisite allora, preesistessero o siano sopravvenute: e consideriamo nuova anche l’acquisita, se rimane fuori dalla decisione, come talvolta capita [6].


La decisione della Suprema Corte


La Corte di Cassazione, con la sentenza in oggetto, riteneva fondato il ricorso in quanto la Corte di Appello di Ancora avrebbe dovuto verificare in concreto se la remissione della querela fosse effettivamente presente agli atti del procedimento di cognizione e, quindi, accertare se la prova nuova, su cui si fondava la richiesta di revisione, fosse preesistente ma non acquisita nel precedente giudizio ovvero acquisita, ma non valutata dalla Corte. Pertanto, richiamando la sentenza emessa a Sezioni Unite[7] e riaffermando i principi di diritto ut supra, riteneva che rientrassero nella nozione di prove nuove tanto le prove sopravvenute alla sentenza di condanna e quelle scoperte successivamente ad essa, quanto quelle preesistenti: tra queste è possibile annoverare anche le prove già acquisite ma non valutate neanche implicitamente nel precedente giudizio.


Pubblicato da Claudio Fusco in Riv. Rassegna Penale – Contributi per un Diritto Penale Liberale, Aracne Editore – Camera Penale di Napoli

[1] Art. 633 comma 1 c.p.p.; art. 11 c.p.p. [2] P. Tonini, Lineamenti di Diritto Processuale Penale, Milano, Giuffrè Editore, 2017. [3] P. Tonini, Manuale di Procedura Penale, Milano, Giuffrè Editore, 2015. [4] Cass., sez. III, 10 giugno 1996 - 18 luglio 1996, n. 2562. [5] Cass., sez. I, 30 gennaio 1997 - 10 marzo 1997, n. 649 [6] F. Cordero, Procedura Penale, Milano, Giuffrè Editore, 1995. [7] Cass., S.U., 26 settembre 2001 - 9 gennaio 2002, n.624.

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